Om Shanti. La pace del perineo

Da quando io e Le Sanglier, a seguito della sua proposta, abbiamo cominciato a frequentare regolarmente e con grande impegno una scuola di tango argentino, sei o sette mesi fa, e da quando il targo argentino è sopraggiunto con inattesa e inaudita violenza a devastare a passo di milonga la mia tranquillità, o quel che ne restava, lui, quel mio mite mammifero da compagnia che al mattino presto ballava e cantava in pigiama al centro del soggiorno, con l’elastico dei pantaloni allentato, sulle note di “Io sono allegro perché sono un cretino”, ha deciso di attuare un radicale rinnovamento del suo stile di vita.
Del mio, pure.

Dopo i primi mesi di tango, ci eravamo resi conto di essere entrati in un vortice di relazioni sociali – due parole, queste, che mi turbano sempre non poco – il quale ruota, prevedibilmente, intorno all’interesse comune per il ballo. Non solo, però, per il tango, ma anche per la chacarera, la salsa, la zumba e pure la danza classica: molti dei nostri compagni, infatti, erano sì principianti come noi nel tango, ma, a differenza di noi, esperti e appassionati di altri balli, delle cui interferenze positive parevano beneficiare nell’esperienza di apprendimento del tango, non foss’altro che per una familiarità già matura con il movimento del proprio corpo in musica.
Le Sanglier, che è un entusiasta, ha cominciato a entusiasmarsi.
Rilevato senza eccessivo sforzo d’osservazione che lo spessore del suo addome non era compatibile con il suo entusiasmo, ha stabilito preliminarmente di mettersi a dieta.
Dopo i primi tre mesi di colazioni e spuntini a base di merda crusca e di sguardi carichi di astio verso di me e i miei cornetti al cioccolato, si è comprato una bilancia allo scopo di monitorare i suoi progressi con frequenza quotidiana, invece di andare a pesarsi a casa dei suoi una volta al mese, come usava fare per ridurre al minimo la frustrazione. Alla dieta ha affiancato un serrato programma di esercizi di ginnastica, svolti con ferrea determinazione in casa, sul tappeto al centro del soggiorno, che hanno progressivamente sostituito le magistrali interpretazioni di “Io sono allegro perché sono un cretino” – solo l’elastico allentato dei pantaloni del pigiama è stato conservato, probabilmente allo scopo di garantire continuità fra tradizione e innovazione.
Per settimane, e poi mesi, abbiamo minuziosamente registrato le variazioni di peso, esultando incontenibilmente per due etti in meno e, più spesso, addolorandoci inconsolabilmente per due chili in più, finché il peso è parso assestarsi sul valore di settantasette chili e cinquecento grammi (cinquecento, amore mio bellissimo, non trecento come tu vorresti che scrivessi).
Io ero sì un po’ spazientita dai calcoli, tuttavia si sa che l’annebbiamento amoroso è anche partecipazione alla vita dell’amato, perciò partecipavo e, mentre lui trangugiava mestamente le sue pappe ipocaloriche, io gli tenevo compagnia ingoiandomi rapidamente bignè alla crema e premurandomi di mangiare anche i suoi (così partecipando, speravo inoltre che la sua improvvisa meticolosità finisse con l’estendersi ad altre attività per me irrinunciabili quali, ad esempio, la raccolta differenziata dei calzini – quelli sporchi nel cesto della biancheria, quelli puliti nei cassetti, che non è un fatto così ovvio come può sembrare).

Un giorno, però, Le Sanglier ha detto: “Il tango è bellissimo, il tango per me è mille volte più bello della salsa, e io voglio ballare soprattutto tango, però un po’ di salsa ci darà la scioltezza che ci manca, che ne dici?”. Lottando con la tentazione di somministrargli sedativi a sua insaputa, mi sono avvalsa dell’arma potentissima del nostro precariato, “Non abbiamo soldi per iscriverci a un altro corso, – ho detto – magari più in là”.
Più in là Le Sanglier ha detto: “La salsa me la guardo un po’ sui tutorial di You Tube, almeno il passo base. Perché non ci iscriviamo a un corso di yoga? Ne ho scoperto uno vicino casa, è pure economico! Lo yoga aiuta il rilassamento muscolare”. A quel punto tutte le mie perplessità, gli interrogativi pazientemente stoccati in questi mesi di partecipazione, si sono coagulati in un embolo cerebrale dal quale solo un sincero atto linguistico avrebbe potuto mettermi in salvo evitandomi un ictus sicuro, ed era chiaro che l’atto linguistico sarebbe stato un quesito, semplice, onesto, assai intimo e perciò appassionatissimo, ma irrimediabilmente poco sorvegliato nella cura della sua formulazione: “Ma io e te non si chiava abbastanza?”. “No, vanno benissimo quanto e come. – ha risposto lui con agio – È che ci tengo proprio a sentirmi in forma, un po’ più bellino. Tu non lo puoi capire ‘sto fatto qua perché stai in forma e bellina da quando sei nata, pure se ti mangi quattro bignè alla crema ogni mattina. Eddài, aiutami, ho bisogno della tua collaborazione”.

Io ho collaborato, ma adesso non me la sento di ripensare alla mia lezione introduttiva di yoga.
Mi limiterò a dire che le esalazioni di incenso mi stordiscono e che non mi flettevo ad abbracciare le mie caviglie da quando ho dodici anni e che il mio corpo ha provveduto a ricordarmelo sussultando e scricchiolando e gemendo e bestemmiando divinità impronunciabili, e che io ne ho avuto pena profondissima per circa un’ora e mezza, durante la quale l’insegnante ci ha ripetutamente invitato a rilassare il perineo e dopo la quale, tornando a casa, Le Sanglier ha detto: “Io ho capito dove sta più o meno il mio perineo solo quando mi è scappata una scorreggia dall’orifizio anale. Mica si sarà sentita?”.