Eravamo assorti nella quiete di una mattinata in casa, ognuno concentrato sui propri fattarelli.
Le Sanglier stava lavorando al computer, come ogni giorno. Radio Tre in sottofondo, la scrivania di colore irriconoscibile, devastata da munizioni di tabacco, filtri e cartine, carte, cartacce, tazzine del mattino, bicchieri della sera prima, un posacenere colmo.
Io stavo preparando le mie scartoffie per le prossime selezioni di “Saranno penosi”, cioè per il consueto appuntamento annuale con la sfida tra chi di noi, esperti di glottopipponica, si accaparra più incarichi di insegnamento nei corsi estivi di italiano. Radio Tre in sottofondo, quarantacinque fogli sparsi sul tavolo, due posaceneri colmi.
Le Sanglier si è alzato e ha detto: “Ho un rododendro”. Non voleva mettere piante sul balcone, lui usa dire così quando c’è un pensiero che lo rode dentro. L’idea che quest’uomo, preso in giro da quell’insidioso rotacismo che lo fa parlare con la erre moscia, si sia scelto per esorcizzare i suoi momenti di inquietudine una spiritosaggine che ha ben due erre su quattro sillabe, è per me un ulteriore segno della sua ammirevole caparbietà.
Talvolta, per rincarare l’ironia, aggiunge: “Ho un pensiero finestro”, e in questo caso vuole dire che ha un pensiero funesto, o che vorrebbe prendere la rincorsa e defenestrarsi a causa di un rododendro, cioè di un pensiero funesto. Il senso complessivo, comunque, è che c’è qualcosa che non va. Poco dopo, infatti, ha aggiunto due nuove grottesche erre: “Ho un pensiero finestro”.
La serenità con cui stava lavorando, mi ha spiegato, era stata bruscamente interrotta dal pensiero dell’assicurazione della macchina, da pagare a breve.
In casa di due precari va così. Per trecento euro da pagare si può perdere la serenità o il sonno, o avvertire un rododendro piantato nello stomaco, o essere tentati di prendere una boccata d’aria giù in strada, senza passare per le scale del pianerottolo. Per trecento euro da pagare si può passare mezza giornata a ripercorrere mentalmente tutte le stazioni di questa via crucis, fatta di lavori svolti con serietà e competenza per qualche spicciolo con cui comprarsi il gelato, la paghetta di un ragazzino. “Io lavoro dieci ore al giorno, e ho problemi a pagare l’assicurazione”, ha detto Le Sanglier – all’informazione ha aggiunto un efficacissimo commento, che qui pare il caso di espungere – mentre si passava la mano destra nei capelli, come fa sempre quando ha un rododendro. Il volto era bianco di paura e chiazzato di rabbia. Quando ha un pensiero finestro, la forma dei suoi occhi scuri assume un’angolazione esterna che si accascia languidamente all’ingiù e ciò potrebbe persino piacermi, se non fosse che a causarlo è una sofferenza.
Questo no, non mi piace.
Amore mio, ai vertici di questo porco Paese non sanno come e quanto ci si possa divertire, in casa di due precari con un rododendro ciascuno al giorno, per un totale di quattordici rododendri alla settimana, se va bene. Ci si diverte perché non sono gli infiniti orizzonti che si presentano agli occhi, ad alimentare un’immaginazione: è l’assenza di prospettiva, come quella di cui noi godiamo, a farci reinventare le ragioni di una sovversiva risata.
L’assicurazione non te la posso pagare, ma tu troverai la tua soluzione, come sempre. Adesso occupiamoci insieme del tuo rododendro. Io so come. Io oggi ti metto sulla nostra tavola un piatto di cannelloni che dell’assicurazione chi se ne fotte. I cannelloni sono quelli surgelati che abbiamo comprato al supermercato in offerta a un euro e novantanove, già farciti e pronti da cuocere. Non è il massimo, lo so, ma aspetta: il ragù lo faccio io. Soffritto di cipolla, carota e sedano, macinato fresco (non freschissimo, va bene, ma non dire niente prima di assaggiare il risultato finale), passata di pomodoro, due chiodi di garofano, una cascata di besciamella, una pioggia sottile di parmigiano grattugiato, una spruzzata di pepe nero.
Mentre il sugo bolle, ti accarezzo la testa. Tu non riesci ancora a carpire le radici del tuo rododendro. “Non è che non la posso pagare, la posso pagare, ma questo mese non possiamo nemmeno andare a mangiarci una pizza”. Amore mio, senti che profumo di ragù. “… o bere una birra, o che ne so”. Amore mio, senti che ribollìo di sugo. “… figurati poi andare una giornata fuori!”.
Amore mio, ho appena fatto una cazzata. Ho aggiunto un tocco di classe ai cannelloni, che stanno ormai sfrigolando nel forno: due piccole mozzarelle di bufala, tagliate a dadini. Tu adori le mozzarelle di bufala, ma il tuo intestino no, e non è facile tenerlo sempre a mente nemmeno per te, che quando andasti per due giorni a Lecce non sapesti resistere a una burrata freschissima, facendoti il viaggio di ritorno in macchina con lo stomaco crivellato di compresse di Imodium e arrivando a casa con un pallore in volto mai visto prima. La tua intolleranza al latte e a tutti i suoi derivati, crudi e cotti, che regolarmente ti porta a chiuderti in bagno a sacramentare e prendere decisioni difficili, è il peggiore dei tuoi mali, il più temibile dei tuoi nemici, e catalizzerà oggi tutta la tua attenzione. Amore mio, lo sai, ci sono tanti modi per non sentirsi sopraffatti da un problema. Per esempio, occuparsi di un problema più grande. “Sì, forse oggi ci vuole una specie di chiodo schiaccia chiodo. Intanto mi godo questi cannelloni!”, mi dici infine sorridendo. Sì, amore mio, è questa la soluzione. Godiamoci questi dodici cannelloni, sei per me e sei per te, affogati nella mozzarella di bufala filante. Io ti garantisco che oggi pomeriggio l’assicurazione sarà l’ultimo dei tuoi rododendri. Spereremo, anzi, che sia solo l’ultimo di questa giornata, e ci sorprenderemo ad augurarci che tu riesca ad arrivare sano e salvo fino al rododendro di domani.
[* Questo post è soprattutto per te. Fino a stasera, mentre sei in bagno, prova a ripetere ad alta voce il titolo]