Rileggere Caos calmo, e non trovare il caos

Allora, mi è capitato di rileggere Caos calmo, di Sandro Veronesi.
Le riletture, si sa, hanno sempre delle insidie che le prime letture non hanno (ne hanno altre, forse): quando rileggi, può essere dopo anni o dopo mesi o anche dopo poche settimane – conosco alcuni nevrotici che ricominciano subito da capo, io non mi ricordo di averlo mai fatto, ma solo perché ho altre nevrosi, – è già passato del tempo, hai letto altre cose, ti è successa un’altra porzione di vita, sei cresciuto, sei invecchiato, sei tornato bambino, insomma: sei poco o molto cambiato, ma sei senz’altro cambiato. Ed è cambiato anche il tuo essere lettore. Allora può succedere che certi libri che avevi letto e dei quali ti eri perdutamente innamorato, un giorno non ti rapiscono più, oppure può succedere che certi libri che avevi letto e ai quali non ti eri particolarmente interessato, un giorno ti lasciano senza fiato e ti fanno dire: come ho potuto non accorgermene prima?
Qualcosa di simile accade col via vai di persone nella nostra vita, amori soprattutto, ma anche amicizie (la famiglia no, quella sai che è una e non va, viene e basta, perciò, se non ti piace da subito, a un certo punto trovi il modo di fartela piacere, sennò avrai una vita difficile).
Una delle ragioni per cui, almeno fino a questo momento, non ho mai trovato il coraggio di rileggere John Fante, che è stato per me come sono gli amori giovanili: travolgenti, sanguigni, acuminati, feroci, e anche vagamente deliranti, è che ho paura della prima possibilità, che è una possibilità sempre valida anche per gli amori giovanili (soprattutto per gli amori giovanili). Perciò l’ho conservato come certe memorie che non hai animo di rivisitare.

Caos calmo, invece, l’ho letto la prima volta nel marzo del 2007. Lo so con questa precisione perché per un lungo periodo ho avuto l’abitudine di annotare a matita sulla prima pagina dei libri il mese e l’anno in cui li leggevo; è un altro tipo di nevrosi, ma pare che se ne sia andata da sé. Mi era piaciuto, Caos calmo, ma non moltissimo. Intendo: non avrei detto di Caos calmo “Questo è tra i libri che hanno cambiato la mia vita” (che i libri possano cambiare la vita di chi li legge, è forse da mettere in discussione? Se sì, non in questo blog). L’ho riletto sulla spinta irrefrenabile di una tentazione squallida e farabutta: quella di spiare la scrittura di Veronesi in questo libro di 451 pagine, la stessa tentazione che, parallelamente, mi ha portato a rileggere, ma solo qui e là, pagine di altri libri che ho a casa, De Luca, Lodoli, Piccolo, De Silva, Piersanti, Pascale, Kristof, Szabó, Roth, Auster (gli ultimi quattro, però, in traduzione italiana). Cioè ho fatto una cosa molto brutta: ho riletto per farmi i fatti dello scrittore, non per godermi il mio tempo di lettrice, che secondo me è un tempo da privilegiati, il migliore che uno possa avere oltre a pochi altri.
Comunque, nonostante la rilettura inquinata dalla bassezza delle mie voglie e della mia curiosità torbida, mi sono goduta lo stesso Caos calmo, al punto di dire alla fine “Questo è tra i libri che hanno cambiato la mia vita” (con l’aggiunta a voce più bassa “Ma non subito. Non è stato un colpo di fulmine”).

Solo che, e qui sta il succo della faccenda, non l’ha cambiata per la storia – un uomo, come si dice, “di successo”, affermato nel proprio lavoro, benestante, padre di una bambina e compagno di una donna che lo ama, un giorno si ritrova vedovo – né l’ha cambiata per la scrittura di Veronesi che, a dirla tutta, in questo libro mi risulta qui e là un poco indigesta, diversamente da quella di alcuni suoi racconti in Baci scagliati altrove che ho amato moltissimo. Una scrittura, quella di Caos calmo, che in alcuni punti mi appare, come dire, troppo drappeggiata, anzi vistosamente “stilista”, che è la parola che lo stesso personaggio protagonista usa per definire subito, già nella prima pagina, il suo approccio alla vita, e la usa in coppia con “prudente”. Senz’altro una scelta attenta di Veronesi, che è uno scrittore serio: personaggio stilista, scrittura stilista. D’altra parte, se il tuo personaggio è un uomo istruito, fa il direttore di un’importante pay-tv, vive in bel quartiere di Milano, viaggia molto ed è abituato ai linguaggi sostenuti di certi ambienti, non puoi farlo esordire come un pescivendolo dei mercati rionali, se non in alcuni momenti, quando resta da solo con se stesso, si innervosisce o litiga con il fratello, o quando si sbottona anima e pantaloni. Magari questo puoi farglielo fare più avanti, appena poche pagine dopo, per esempio mentre si ritrova ad avere un’inattesa erezione durante il salvataggio disperato, «a gran colpi di cazzo sul culo», di una donna sconosciuta che sta annegando: un’esca preparatoria, questa scena formidabile, per il capitolo 32, più di trecento pagine dopo, dove lui si inchiappetterà (letteralmente) la stessa donna sul prato di casa. Ma non prima, non subito. Prima ci si presenta bene, composti, poi, quando si è creata intimità, quando la familiarità è scoccata, possiamo fare i rutti insieme. Va benissimo così, è come deve essere.

Non tanto la storia, dunque, e non tanto lo stile – che poi sono tutt’uno, – che cosa allora? Il piano di lavoro. Perché dietro queste 451 pagine c’è un lavoro di pianificazione immenso, e mica perché, banalmente, sono 451 pagine, no: perché per mantenere sospesa ad altezze elevate un’ispirazione quasi costante, ci vuole un’idea chiarissima di quello che stai facendo, uno stato di grazia del pensiero unito a metodo e tenacia.
Nei ringraziamenti finali, Veronesi dice che per scrivere questo libro, capitolo dopo capitolo, ci ha messo quattro anni e mezzo. Quando ho letto questa cosa la prima volta, mi ricordo che ho pensato: addirittura? Stavolta, invece: solo? Non posso fare a meno di considerare, comunque, che, in quei quattro anni e mezzo di lavoro, Veronesi era già Veronesi, cioè uno che – immagino, suppongo – per scrivere un libro può prendersi tutto il tempo che vuole e che gli serve, senza morire di fame, senza urgenze, con calma, e intanto l’editore aspetta con pazienza (così ha fatto Elisabetta Sgarbi, dice lui nei ringraziamenti): perché i lettori aspettano un libro di Veronesi, e fanno bene ad aspettare. Tuttavia, resta lo stupore: solo quattro anni e mezzo? No, perché, voglio dire: per concepire una storia, che copre grosso modo una sola stagione, dalla fine dell’estate agli inizi dell’inverno, in cui un uomo perde la propria compagna nello stesso giorno in cui sta salvando una sconosciuta in mare, e da quel momento in poi si piazza tutti i giorni davanti alla scuola della figlia aspettandone l’uscita, e i colleghi di lavoro, i familiari, gli amici cominciano ad andare a fargli visita alla panchina dove passa la maggior parte del tempo, che è un tempo lento, dilatato, centellinato, molto pensato e poco agito, spesso monologato e poi di colpo magistralmente dialogato, ci vuole un sacco di tempo. E, comunque, nemmeno il tempo è tutto (se il tempo a disposizione fosse tutto, con la disoccupazione che c’è in giro oggi, sai quanti bravi romanzieri a ogni angolo della strada a scrivere con una mano e chiedere l’elemosina con l’altra, tutti poderosi, tutti imperdibili, tutti necessari?). Ci vogliono lucidità, resistenza, concentrazione, e tensione verso un punto all’orizzonte. Poca scuola, molta vita vissuta. Oh, poi, detto proprio di sfuggita, appena accennato: ci vuole pure talento. Qualunque cosa esso sia.

[Mi pare chiaro che questo post non è una recensione: è un post. E, se ho detto qualche cosa che è stato già detto, non sarebbe nemmeno la prima volta: arrivo sempre un poco in ritardo sulle cose, e pazienza]

2 pensieri su “Rileggere Caos calmo, e non trovare il caos

  1. In genere io non rileggo i libri: ho sempre paura che si modifichi il mio primo e istintivo giudizio. In questo caso il libro mi era piaciuto e sono andato a vedere il film. Feci un grosso sbaglio.
    Nicola

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