Scibbòlet

In quel tempo gli uomini di Galaad sconfissero quelli di Efraim e occuparono i guadi del Giordano, per impedire la fuga ai nemici sopravvissuti al sanguinoso combattimento.
Ma non si sapeva come riconoscerli. Quelli di Efraim, infatti, erano uomini e quelli di Galaad pure.
Quelli di Galaad allora si riunirono per decidere come individuare con sicurezza chi era diverso da loro. Considerarono l’evidenza della pelle, delle vesti, delle facce, ma ugualmente temevano di fallire.
Considerarono infine la lingua, e gli uomini dal multiforme ingegno trovarono l’inganno perfetto.
Chiunque tentava di passare il fiume veniva fermato e, se negava di essere uno di Efraim, allora gli uomini di Galaad gli chiedevano di pronunciare la parola scibbòlet, che in ebraico significa spiga, o grano, o spiga di grano, o fiume, o torrente, o ramoscello d’olivo, o chi l’ha mai capito. Tanto non importava il significato. Importava il nome, perché dire il nome è dire l’appartenenza. Quelli di Efraim parlavano un dialetto diverso e pronunciavano sibbòlet. Sapevano, ma non potevano dirla.
Così quelli di Galaad riconoscevano il nemico dal suo idioma, lo afferravano e lo sgozzavano nei guadi del Giordano. In quell’occasione furono uccisi quarantaduemila uomini di Efraim, perché non potevano dire scibbòlet.

Il 27 aprile 2011 alle ore 10.45 il giovane dottorando Sunil Sivalingam entrò in un ufficio postale di Roma con l’intenzione, il bisogno e il desiderio di chiedere informazioni sulla spedizione di un pacco celere.
Pronunciò la parola sèler. Sapeva, ma non poteva dirla.
L’impiegato sembrò dapprima infastidito. Sunil provò allora a comunicare in inglese, fiducioso nell’era globale. L’impiegato però rispose di non sapere l’inglese, e dicendo questo ci tenne a mostrarsi piuttosto seccato del fatto che Sunil non potesse dire celere. Sunil provò con le mani, fiducioso nella semantica dei gesti italiani. L’impiegato parve addirittura irritato, perché Sunil non usava le mani come un vero italiano. “Non hai un amico italiano? Torna qui con un amico italiano, così ti capisco!”.
Sunil invece tornò nella sua stanza, alla residenza dei dottorandi stranieri dell’università, e pianse a lungo. La sua insegnante di italiano gli disse “Torniamo insieme all’ufficio postale”, ma lui non volle più. Non fu perché non aveva ottenuto da solo le informazioni che voleva, ma perché non poteva dire celere e l’impiegato per questo si era arrabbiato, e a lui per la paura era sembrato di morire.

[*La storia di Galaad ed Efraim è narrata nel Libro dei Giudici 12, 5-6. Qui è stata riletta con qualche ammissibile libertà, ma i fatti andarono esattamente così e quarantaduemila uomini furono uccisi perché non potevano dire scibbòlet. Altrove si narrano anche la storia dei cìciri e quella del perejil, e sarà opportuno che qualcuno seguiti a raccontarle. Altrove si narrano certamente altre storie che non conosco, e sarà opportuno che qualcuno seguiti a raccontarle. La storia di Sunil Sivalingam non è narrata da nessuna parte, ma sembrava opportuno raccontarla lo stesso, perché i fatti andarono esattamente così e un uomo di Chennai pianse a lungo perché non poteva dire celere. Tutte queste storie, comunque le si voglia raccontare, sono storie degli uomini di Galaad e di Efraim, e sono storie di scibbòlet]

11 pensieri su “Scibbòlet

  1. sarà anche tutto un panta rei, ma anche vichinamente tutto torna… e si sa, gli impiegati postali non brillano per acume e sensibilità…
    l’AleS

  2. devo aspettarmi di essere fucilata sul posto perché non in grado di dire correttamente qi zi xing che (ciziscince, più o meno. con vari toni per ogni sillaba)

    però che stronzo l’impiegato postale

  3. Basta il rotacismo per rientrare nelle minoranze linguistiche? Dovresti sentire, o risentire, le situazioni linguistiche ancor più paradossali create da indigeni che allo sfuggente gergo tecnico, padroneggiato a fatica, aggiungono un vuoto concettuale che sbarra l’accesso al passaggio di idee. Se i suddetti indigeni si fossero per una volta ritrovati in una situazione di sbarramento linguistico, approfitterebbeo del varco dei propri luoghi per aggiungere all’aria modulata significati di pubblico interesse.

  4. Conosco la storia dei ciciri. E anche quella degli italiani che sfogano frustrazioni da lavoro simulando di non comprendere l’ovvio. Poi dicono i francesi o gli inglesi.

  5. Non ho dubbi che tu conosca la storia dei ciciri, e chi meglio di te potrebbe raccontarla? Se la scrivi, stavolta me la stampo e me la metto sul comodino, accanto a “Una banda di idioti” (che ho scoperto grazie a te).
    Riguardo alla storia di Sunil, si sarebbe potuto farne una storia come si deve, ma non mi è venuta. Era il ricordo di un mio studente.

  6. scusate cos’è la storia di ciciri? da noi in sardegna, a cagliari nello specifico, si racconta che per sgamare i francesi li si costringesse a dire la parola cixiri (pron. cisciri più o meno) che riusciva loro difficile da pronunciare…

  7. Durante la seconda guerra mondiale, gli olandesi facevano pronunciare il nome di una città (Scheveningen, ma non è memoria prodigiosa, l’ho dovuta cercare :D) per individuare le spie tedesche.
    Celto, non capisco ploplio che ci fosse di difficile, ma pale funzionasse 😉

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